Un altro viaggio particolare


 

 

 

All’entrata del Gambia

 

 

Padre Celso Corbioli

 

celsocorbioli@msn.com

 

N’Dame, 29.10.2010

 

Pe. Celso CorbioliE’ normale che quando sia viaggia si facciano esperienze particolari, ma credo che per noi il tratto Dakar-Bissau sia tra i più “speciali”. Questa è la seconda volta che scrivo su questo viaggio.

 

Da Bissau a Dakar, e viceversa, si può andare in due modi: prendendo un strada lunga, di 950 km, evitando un paese che si insinua dentro il Senegal, chiamato Gambia, oppure attraversare il Gambia e percorrere così “solo” 580 km.

 

Questa volta all’andata ho preso il percorso più lungo. Non voglio dilungami tanto su questo, perché il viaggio si è svolto in modo “normale”. Partito alle 5 di mattina di giovedì 14 ottobre, raggiunsi la nostra comunità di Farim dopo due ore e mezzo. Da lì continuai il viaggio con Daniel, studente oblato senegalese, che si sta preparando al sacerdozio. Entrati in Senegal, raggiungemmo nel pomeriggio il villaggio di Koumpentoum. E’ là che si trova un’altra nostra parrocchia, a metà strada circa tra Farim e Dakar. Il giorno successivo, venerdì, continuammo il viaggio con P. George, un missionario senegalese, destinato alla comunità di Farim. Raggiungemmo Dakar nel tardo pomeriggio. Tutto andò secondo il programma prefissato. Il giorno seguente, sabato, alle ore 3 di mattino, arrivò P. Giancarlo dalle sue vacanze in Italia. Passammo il resto della giornata di sabato insieme, con tante notizie da comunicarci.  

 

Il giorno dopo, domenica 17 ottobre, ci mettemmo tutti e 4 in viaggio per Bissau, dopo aver celebrato la Messa alle 5 di mattina. E qui inizia il nostro viaggio particolare. Decidemmo di scegliere il percorso più breve (via Gambia) con l’idea di arrivare la sera a N’Dame. Tutto andò bene per i primi 200 km; superata la città di Kaolak, ci dirigemmo verso la frontiera del Gambia. Ad un certo punto però ci imbattemmo in una lunga fila di camion e macchine. Ci dissero che c’era un senso unico alternato per circa due km. L’acqua piovana aveva invaso la strada, di terra battuta, con conseguenti buche piene di acqua e fango. Venne il nostro turno. Grazie a Dio riuscimmo a superare quel primo ostacolo.

 

Dopo aver percorso altri 50 km raggiungemmo la frontiera con il Gambia. Espletate le formalità con il Senegal, entrammo in Gambia. P. Giancarlo disse: “Credo che questa volta non ci saranno tante macchine, e quindi dovremmo fare abbastanza presto”. Con la polizia, la dogana e i militari del Gambia, non incontrammo tante difficoltà (le solite). Ma quando raggiungemmo la zona del traghetto (c’è un grande braccio di mare da  attraversare), una lunga fila di macchine e di camion aspettava il proprio turno. Non rimaneva che mettersi in fila, sperando di poter attraversare in fretta. E invece cominciavano a passare le ore, sotto un sole cocente, con il risultato di avanzare solo di pochi metri. Quando finalmente giungemmo in vista del traghetto, ognuno voleva passare per primo; macchine e camion formavano nuove file, a destra e sinistra. Era un caos generale; gli stessi incaricati dell’ordine si trovavano in grande difficoltà. Erano già passate quasi 4 ore. Mi domandavo come e se avessimo potuto entrare nel traghetto. Ma “Dio è grande”, dice sovente la gente qui, nel senso che può risolvere una situazione ingarbugliata, quando sembra che non ci sia niente da fare. Infatti riuscimmo ad arrivare vicino a un agente del traffico, che ci fece segno di attendere. Ma dopo avergli spiegato che aspettavamo da quattro ore e che dovevamo arrivare in Guinea, ci disse di entrare nel traghetto. Era come una liberazione! Sbarcati dopo una ventina di minuti nell’altra sponda e percorsi altri 20 km, dovevamo fare le pratiche per uscire dal Gambia. Ci volle un po’ di tempo, ma finalmente riuscimmo a rientrare in Senegal. La distanza per arrivare a Zinguenchor (la città di frontiera, prima della Guinea Bissau) non era tantissima: 180 km, ma bisognava tener conto che alcuni tratti di strada non erano buoni e che ci sarebbero stati dei posti di blocco tenuti dai militari, essendo la zona non sicura (per il problema del movimento di secessione della Casamance, per chi ne ha sentito parlare).

  

Continuammo il nostro cammino, sperando di raggiungere la frontiera della Guinea Bissau prima della sua chiusura (alle ore 19). Ogni tanto dovevamo fermarci per i posti di blocco militari; a volte dovevamo rallentare per qualche tratto di strada non buona (non era sempre facile evitare tutte le buche), ma comunque la speranza di arrivare in tempo diventava sempre più reale. Ero io alla guida in questo tratto di strada. Continuando il cammino, molte volte a zig-zag a causa delle buche, non mi accorsi di un cartello con la scritta: alt, dogana. Ad un certo punto vidi nel retrovisore un fuoristrada che ci seguiva e che ci segnalava di fermarci. Accostai a destra e la Toyota inseguitrice ci superò e si fermò davanti a noi. Scesero in fretta 5 o 6 giovanotti, e vennero decisi verso di noi (forse pensavano che trasportassimo armi?). Li salutammo cordialmente. E alla domanda: “Chi siete e dove andate”? Rispondemmo quasi in coro: “Siamo sacerdoti della missione cattolica e andiamo in Guinea Bissau”. Aggiungemmo anche che andavamo in fretta per paura di non arrivare in tempo alla frontiera. “Va bene, andate”, risposero subito.

 

Arrivammo a Zinguenchor poco prima della 18,30. Mancavano ancora una ventina di km per la frontiera, ma la strada era buona. Ma appena usciti dalla città, nella strada verso la frontiera, una sorpresa: la strada era sbarrata! A destra c’era la polizia. Un giovanotto, in borghese (un poliziotto?) ci disse che non si poteva passare perché erano le 18,30. “Ma non è alle 19 che si chiude?”. “No, alle 18,30. Si riaprirà domattina alle 8!”. “Ma noi dobbiamo andare in Guinea Bissau! Siamo in ritardo a causa del traghetto del Gambia…”. “Non so che farci…”. Ma poi continuò: “Se volete, vi indico una strada per contornare questa barriera. Dovete tornare indietro per un kilometro e prendere a sinistra”. Cominciammo a dubitare se era bene o no accettare questa proposta. Comunque tornammo indietro. Il nostro informatore ci raggiunse e salì in macchina. Entrammo in strade e straduncole, che lui stesso sembrava non conoscere. Ma alla fine rientrammo nella strada principale, lasciando la barriera lontana. Il nostro amico ci disse:

“Ora potete proseguire”.

“Ma la frontiera sarà chiusa!”

“No, potrete passare”. E così continuammo, con una certa ansia, perché se veramente la frontiera era chiusa, non avremmo più saputo come tornare indietro!

 

In poco tempo raggiungemmo la frontiera del Senegal. Era buio e la polizia e i militari erano occupati in ben altre cose. P. Giancarlo uscì, parlò con gli uni e con gli altri. Un poliziotto gli disse:

“Se i militari sono d’accordo, potete andare”. E i militari: “Se la polizia è d’accordo, potete passare”. E così passammo senza timbri e perquisizioni. Dopo un km eravamo alla frontiera della Guinea Bissau. Nel sentire che eravamo i padri di N’Dame, non fecero nessun problema. Uno di loro ci disse: “Perché non mi date un Rosario? Quello che avevo l’ho perso”. P. Giancarlo, che normalmente è provvisto di tutto, ne trovò uno in formato ridotto, ma andava bene! E così, arrivati in Guinea, tirammo un sospiro di sollievo.

           

Mancavano ancora poco più di cento km per casa, ma l’importante era essere arrivati “di là”. Suor Nella, da N’Dame, ci avvertì per telefono di non prendere la solita strada per arrivare, quando saremmo stati vicini, perché c’era stata tanta pioggia e non si poteva passare. E così, seguendo le istruzioni, giungemmo a N’Dame per una strada diversa, poco dopo le 22. Non ci sembrava quasi vero. Dio è veramente grande! Pur essendo notte, le Suore che lavorano in questo Centro, le Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù, erano là ad attenderci. Un’accoglienza  speciale, con canti di benvenuto, fu riservata a P. Giancarlo, che rientrava dall’Italia, e a P. George, che andava per la prima volta nell’altra nostra missione della Guinea, a Farim.

 

E qui finisce il “viaggio speciale”.

 

Ora, prima di terminare, una parola sulla Guinea Bissau. Pochi giorni fa, a un incontro tra i sacerdoti e il vescovo della diocesi, fu invitato un esperto in sociologia e politica. La descrizione che ci fece della Guinea era piuttosto triste e scoraggiante. Il paese è in mano a gente poco raccomandabile, coinvolta nel traffico di droga e nella corruzione. La droga arriva dalla Colombia, e con la complicità delle autorità locali, si dirige verso il Nord Africa, e in Europa. Per quanto riguarda la Giustizia: normalmente non vince una causa chi ha ragione, ma chi ha soldi. “Si è mai visto un ricco condannato?”, ci diceva il nostro esperto.

 

Cosa si può fare per cambiare questa situazione? Il vescovo si domandava se i cristiani non avessero niente da dire, e da fare, per intraprendere un cammino diverso. Eravamo tutti d’accordo nell’affermare che il lavoro più urgente non è risolvere il problema economico, per quanto grave possa essere (la Guinea è uno dei paesi più poveri del mondo), ma la formazione delle coscienze, per il corretto uso del bene pubblico e per evitare la tentazione della corruzione e della droga.

 

Se da una parte nel nostro paese la gente mostra tanta umanità e tanto buon senso, che sa andare al di là delle leggi scritte (vedi il passaggio alla frontiera…), dall’altra l’abbaglio di soldi facili trasforma coloro che hanno il potere politico e militare in persone egoiste, che li porta a dimenticare completamente la propria gente. Per questo c’è bisogno di una generazione nuova, che prenda in mano le leve del potere politico ed economico e per una corretta amministrazione del bene comune. I cristiani sono chiamati a dare l’esempio attraverso una testimonianza credibile.  “Voi siete la luce del mondo. Una città sopra il monte non può rimanere nascosta”, disse Gesù (Mt. 5,14).

 

 

Mappa del viaggio.

 

 

p. Celso Corbioli, omi

Centro de N’Dame

C.P. 20   

1001 Bissau Codex

Guinea Bissau

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UMA VIAGEM ESPECIAL  16.05.2009


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